Desktop publishing, AI, consumismo, Comic Sans e altre calamità.
“La creatività ha bisogno del supporto della conoscenza per potersi esprimere al meglio”, scriveva Massimo Vignelli che evidentemente riteneva, a ragione, di possederne abbastanza da potersi permettere affermazioni come questa. Era il 2009 e con la pubblicazione di The Vignelli Canon dettava le proprie linee guida per la comprensione della progettazione grafica, con particolare riferimento alla componente tipografica.
L’intento, chiaro da subito, è quello di mettercela tutta per qualificare il design non come un particolare stile o una moda temporanea, bensì una disciplina regolata da criteri semantici e sintattici precisi e basata sulla responsabilità e sull’integrità. Ma alcuni dei passaggi più interessanti di questo manuale, senza nulla voler togliere ai sacri comandamenti pratici in esso dispensati, sono invece quelli critici e impetuosi verso una serie di entità malvagie che minano la sua visione.
Dapprima rimprovera tutta quella frangia di colleghi a suo dire sprezzanti del consumatore e convinti dell’appeal che la volgarità è in grado di suscitare nelle masse, artefici perciò di prodotti volontariamente grezzi e volgari. Il termine volgarità, va precisato, implica per Vignelli la palese intenzione di una forma espressiva che ignora e bypassa di proposito qualsiasi forma di cultura consolidata. L’autore la pensa così:
Più in profondità in questa serie di gironi danteschi risiede poi il desktop publishing. Tale fenomeno, consequenziale all’avvento dei computer e dei software di progettazione più o meno professionali, consiste in breve nella possibilità materiale da parte di chiunque di produrre contenuti grafici o editoriali (oggi aggiungeremmo anche digitali) in modo sconsiderato e contravvenendo ad ogni principio formale. Vignelli ci descrive uno scenario quasi apocalittico, parlando in termini tipografici di un concetto tranquillamente estendibile a qualsiasi altro aspetto della progettazione grafica:
Terribile.
Massimo Vignelli moriva nel 2014, cinque anni dopo aver scritto The Vignelli Canon, senza conoscere l’ulteriore, spietata minaccia che stava per affiorare di lì a meno di un decennio. Ma serve poco sforzo ad immaginare come avrebbe classificato l’avvento e l’utilizzo spesso improprio, sregolato, delle AI generative. Uno strumento ancora acerbo che si inserisce perfettamente ed anzi amplifica lo scenario di inquinamento visivo e culturale proliferante.
Si delinea un quadro decadente in cui si assiste a un livellamento verso il basso della qualità media dei prodotti di design, delle identità di marca, dei media e dei contenuti digitali che si lasciano risucchiare nel vortice consumistico dei trend più effimeri e temporanei.
In tutto questo marasma di loghi in Comic Sans sono privilegiati gli attori forti di un’identità visiva e verbale solida e che saranno in grado di costruire e mantenere nel tempo una brand heritage di successo. Il che non significa non intervenire quando l’efficacia comunicativa del brand nel proprio contesto di mercato è ormai compromessa, quanto piuttosto dotarsi, al momento opportuno, di una brand identity duratura capace di trascendere la cultura della mediocrità home-made e dell’obsolescenza programmata.
Ciò che potrebbe passare (solo) come l’isteria di un’intera categoria professionale, alla quale un idealista Vignelli presta voce e pathos, rappresenta in realtà il sintomo di una crisi percettiva nella quale la disponibilità degli strumenti e delle risorse rischia di annebbiare il valore della competenza e della visione a lungo termine. L’opportunità è quella, nella cacofonia generale, di riuscire ad essere tra i pochi a farsi ascoltare.
Che sia storico o tutto da costruire,
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